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BLOGGER SOTTO ESAMI
Il blogger ha gli esami, l'attività del blog è dunque sospesa e riprenderà regolarmente non prima di ottobre. Sperando che il blogger li passi...

giovedì 16 febbraio 2012

Eremita (racconto di Carlo Odisseo)

Come promesso, ecco che pubblicherò un racconto del mio amico Carlo Odisseo, nuovo collaboratore, suo malgrado, di questo misero blog.
Nello scrivere questo racconto, Carlo mi ha raccontato di essersi ispirato a Siddhartha, di Hermann Hesse. Il romanzo Siddhartha infatti non gli era piaciuto e così lui ha deciso di scriverne una propria versione, anche se più breve, che si conformasse al suo modo di vedere le cose. Presuntuoso? Può essere, ma lui è fatto così.
Non sapeva però come titolarlo, così ho deciso io per lui. Ecco, per voi, "Eremita".

Guarda le stelle, leremita, seduto sulla spiaggia. Il mare col suono regolare e calmo delle lunghe onde lo rasserena, ma ancora la sua mente non può essere sgombra del tutto. Sono ancora troppe le luci della città che alle sue spalle offuscano il cielo velandone la volta. Alle sue spalle l’eremita sente i rumori delle auto per strada, clacson e motorini che il mare fatica a coprire con il suo lento frusciare di onde.
Si spoglia e nudo entra in acqua. Lacqua fresca del mare finalmente lo rilassa e scorrendo lungo il suo corpo distende le sue membra. Si sdraia leremita nell'acqua e le sue spalle sono ora più leggere, sollevate dal peso della vita. Leremita affonda le mani nella fredda e morbida sabbia e rimane, fermo, a pensare.
Ancora unombra però, grave, oscura il suo volto giovane e bruno per il sole.
-Ringrazio te, mare, per l’ospitalità che mi concedi, a me che non ho nulla da darti in cambio, in questa calda notte d’estate. Ringrazio te, cielo oscuro, in questa notte in cui della luna solo uno spicchio si vede, per coprire il mio corpo nudo e inerme da essere umano. Ringrazio voi, stelle, che dalla vostra inumana bellezza vegliate su di me, e ringrazio te, luna, che la in cielo sorridi beffarda, per la flebile luce che oggi concedi. E grazie anche a te, piccolo granello di sabbia che le mie mani afferrano, affinché la debole onda non mi trascini, grazie di essere qui e non tradir la fiducia che in te ripongo. Voi lo so che non mi tradirete, voi che vi muovete secondo le rigide e strette regole della necessità. Voi non siete uomini e per questo io, eremita, apprezzo la vostra compagnia. Ma ditemi, siete felici? Sei felice tu mare che mosso dal vento placido corrodi la spiaggia? Sei felice tu luna che ogni giorno percorri il firmamento? Lo siete voi stelle che mutate di luogo, sempre uguali, durante l’anno terrestre? E sei felice, tu, granello di sabbia che stai nella mia mano? Sei così piccolo, granello di sabbia. Ma in fondo non sei molto più piccolo di una stella, vista da quaggiù. E non saresti poi così piccolo per le molecole d’acqua che attorno a te stanno e che ti vedono come un pianeta, come una stella, come una luna. Però le stelle, però la luna molti poeti hanno ispirato, chi mai ha scritto un carme ad un granello di sabbia? Eppure guarda, così piccolo, così levigato, frutto del lavoro di millenni del mare paziente che lo ha forgiato con le sue onde, non meriterebbe almeno un verso da parte di uno sciocco poeta? Dimmi, almeno tu sei felice, piccolo, fragile, leggero granello di sabbia che un po’ di vento basta a disperdere?
-Quanto sei sciocco, umano, giovane eremita- risponde il granello di sabbia. -Come posso io essere felice? Come possiamo noi essere felici, creature senz’anima che tu stoltamente interroghi. Per questo siam così, calme e pacate, per questo tu trovi così gradevole la nostra compagnia, perché non siamo vivi, non siamo felici, non siamo crudeli con te e non ci beiamo della nostra crudeltà. Noi non siamo umani, giovane eremita, per questo ti piacciamo.
-Forse hai ragione, umile granello di sabbia, mi piacete perché non avete anima, voi, stelle, mare, e tu granello. Ho in questo tempo l’umano genere in odio, in cerca della felicità l’ho lasciato e la felicità, da giovane eremita, vado inseguendo.
Ma una stella cadente percorre ora il cielo e solitaria si spegne così come, senza invito, è comparsa.
-Perché tu così mi illudi, o cielo-, dice il giovane eremita, -e perché tu stella cadente mi fai desiderare, mi fai sperare in un desiderio che mai si avvererà? Tu, stella cadente, fantasma di un desiderio inespresso ed mai avverato, promessa d’illusione. Perché dovrei ancora illudermi in una stupida falsa speranza, la falsa speranza di un disperato? Perché sperare ancora, per poi ancora soffrire?
Risponde la stella cadente, -che colpa ne ho io, o uomo, se la tua razza desidera di più guardando verso me? Non sono certo io a volerlo. Io non sono che un po’ di roccia infuocata dall’atmosfera. Davvero vorresti privarmi dell’unico istante che da un senso alla mia vita? Davvero desideri che io non realizzi me stessa bruciando e regalando a voi umani quella falsa speranza, che i vostri desideri diventino realtà, che vi spinge avanti a vivere?
-Hai ragione, stella cadente, ma almeno concedimi un favore; fa sì che il cielo, il mare e le stelle rispondano a me che li interrogo. Concedimi le risposte alle mie domande. Ma parlo col nulla, orma tu sei cenere e nient’altro, stella cadente bruciata nell’aria. Ma ditemi, voi stelle, dall’alto della vostra bellezza, perché io non posso esser felice? Perché tutti attorno a me sono felici, perché loro sono in grado di ridere ed io no? Rispondetemi, ve ne prego, e vi sarò grato.
-Stupido umano-, dice la luna, -che interroga sulla felicità esseri inanimati, che non possono provarla. Perché domandi a noi?
-Voi siete saggi, abitanti del cielo, e tutta la terra scrutate dalle vostre altezze. Davvero non avete una risposta per me?
-Ma cosa credi che importi, piccolo umano, di te alle stelle che riposano là in alto? Per loro la Terra non è che un atomo, neanche un granello di sabbia, come possono interessarsi alle cose umane? E come posso io? Per me siete tutti moscerini, da quassù, scarafaggi. Al massimo vi guardo agitarvi e sorrido, un po’ come voi fate con i vermi ed i lombrichi. E il mare, che indifferente ingoia voi umani a folle? Come può interessarsi di voi? Per non parlare del granello di sabbia che tu tieni in mano e chiami piccolo e fragile. Quel granello è molto più vecchio di quanto tu possa pensare. Neanche molto tempo fa era montagna e presto tornerà ad esserlo, indifferente anch’esso alle umane sorti quando si stacca dalle pendici e travolge villaggi montani mentre gli abitanti ignari sono tra le braccia del dolce Morfeo, immersi nei sogni. Perché dunque chiedi a noi, uomo, e speri risposta?
-Non ascoltar quella vecchia zitella-, così dice il mare zittendo la luna. -Da troppo tempo si è separata dal Sole suo sposo e da allora gode nel distruggere i desideri altrui. Ma tu, tu parli della felicità. Davvero sei convinto che gli altri uomini siano felici? Di umani suicidi ne ho inghiottiti a milioni, io, nel corso dei secoli. Uomini, donne, giovani delusi dall’amore o adulti sconfitti dalla vita, chi con una roccia, chi con una palla di cannone si sono tuffati in me per mai più riemergere, preferendo una terribile morte per annegamento alla vita che tu chiami felice. Perciò, non crucciarti, giovane eremita, voi tutti uomini non siete felici, è il vostro destino. Rassegnati a soffrire finché le tue sofferenze non troveranno pace nella calda tomba accogliente.
-Ti ringrazio, mare, per la tua risposta. Ma dimmi, saggio vecchio dalla barba bianca, perché alcuni uomini sembrano essere così felici? Perché non sembrano rendersi conto della propria infelicità? Io ho sempre creduto che fossero felici per la loro ricchezza. Credevo che la felicità stesse in soldi, macchine, donne. Ma quando ho faticato ed ho ottenuto tutto questo non ero ancora felice; anzi, ero persino più infelice di prima, fiaccato dall’inutile fatica dell’arricchirsi, disgustato da flotte di cicisbei e leccapiedi, di servi e di puttane. Nauseato persino da me, per esser dovuto scendere a compromessi con quel mondo per ottenere i suoi marci frutti. Perciò ho deciso di lasciare tutto e ritirarmi ancora giovane ad eremita, vivendo di poco. Ma anche così non sono felice, ancora non trovo la pace interiore. Comincio a credere che sia meglio essere nati non uomini ma bestie, felici perché non consapevoli del mondo.
-Stupido umano, quali idiozie vai dicendo?-, dice la luna, -credi davvero che la sorte delle bestie sia migliore della vostra? Davvero pensi che la vergognosa inconsapevolezza di quelli che tu chiami “uomini felici” sia migliore dello stato di persone come te, o come i poeti che tanto mi hanno onorata, consapevoli della propria condizione di dolore e di disgrazia? Sono sì poco più di bestie coloro che vivono e non si rendono conto di come vivono e tu, che hai la fortuna di essere migliore, li invidi? Dovresti vergognarti per questi pensieri. Credi che loro siano davvero felici nella loro inconsapevolezza? Non pensi che prima o poi anche nei loro animi emergerà il dolore per la vita? Io ne ho visti, di scarafaggi come voi, nella mia lunga esistenza, e ti posso assicurare che non uno, se non un pazzo, ha mai saputo ridere fino al giorno in cui le sue spoglie mortali sono cadute inerti a terra. No, voi tutti, umani, prima o poi vi ritrovate sull’orlo del baratro, prima o poi tutti voi scoprite l’abisso, l’apocalisse delle vostre esistenze. E allora, te lo assicuro, ben pochi di voi sapranno tenere la mente calma, sgombra. L’infelicità, in quel momento, vi coglierà, vi coglierà tutti. Ma almeno tu, almeno le grandi menti che mi hanno adorata e anche qualche piccola mente, ma profonda, almeno voi sapete cosa vi aspetta. Voi il baratro lo avete già conosciuto, avete visto l’abisso in faccia, perciò non avete più motivo di temerlo. Non invidiare gli altri ma ringrazia la fortuna per la tua condizione, stolto, perché è la migliore di quelle a cui uno scarafaggio quale sei potrebbe aspirare.
-D’accordo luna, non invidierò gli altri, ma la mia condizione resta comunque quella di un uomo condannato a soffrire. Forse sarebbe invece bene invidiare i sassi e gli altri esseri inanimati, che non possono provar dolore. Ma dimmi, luna, ditemi, voi tutte creature prive di vita e di sentimento, esiste un modo per noi umani per liberarci da questo dolore o perlomeno renderlo più tollerabile? Rispondetemi, ve ne prego, e sarò soddisfatto.
-Vuoi rendere la vita più tollerabile, stolto?-, dice il granello di sabbia. -Allora vivi insieme agli altri. Non essere eremita ma cercati amici, cerca qualcuno con cui condivider il tuo dolore, cerca qualcuno che ti capisca, che sappia comprenderti, consigliarti e consolarti. Qualcuno che abbia vissuto ciò che hai vissuto tu e che possa capire ciò che tu provi. Vivi con gli uomini, eremita, e soffri e gioisci con loro. Il male è minore se condiviso, più leggero il peso se qualcuno lo porta con te.
-E questo sarebbe un saggio consiglio, granello di sabbia che le mie acque muovono?-, dice il mare. -Avere intorno traditori? Perché questo è l’uomo, un traditore. L’amico è solo colui che quando ti tradisce ti fa più del male.
-Non è vero, non ascoltarlo, eremita-, dice il granello di sabbia, -l’amico è colui che ti sta accanto, ti sostiene senza però decidere per te, ti spinge in avanti ma è sempre pronto a sorreggerti quando stai per cadere. Questo è l’amico, non si vive, non si cresce senza.
-Taci, stolta pietruzza, io conosco gli uomini meglio di te, molti ne ho inghiottiti in fragili battelli di legno, ho visto come si comportano coloro che tu chiami “amici”: si ammazzano l’un l’altro per ottenere quell’ultimo posto sulla scialuppa di salvataggio e spesso abbandonano i propri compagni remando in una scialuppa ancora semivuota per il timore di lasciare troppo tardi la nave ed affondare insieme ad essa. No, ti sbagli, umile granello di sabbia, l’uomo è egoista, l’uomo è traditore, l’uomo preferisce se ai propri simili, perciò o eremita tu devi odiare l’uomo. Vivi da solo, ritirati, separati da questo mondo che non può che farti male, solo in questo modo la tua vita sarà degna di essere vissuta.
-È una scelta drastica quella che tu mi proponi, mare. Io vivo da eremita, ma non disprezzo un po' di onesta compagnia. Non tutta l'umanità è compromessa, lo è solo la società con le sue regole, ma scegliendo razionalmente e con attenzione posso trovare qualcuno ancora salvo, puro, non corrotto.
-Prova a pensarci, uomo-, risponde il mare, -perché ti piace la notte? E sono certo ce ti piaccia, altrimenti non saresti in giro a quest’ora. Dimmi, perché la notte è così bella? Perché gli uomini dormono, ecco perché? E poi non mi pare che tu stia parlando con “onesti compagni” dei tuoi dubbi e dei tuoi problemi. No, eremita, tu parli con esseri inanimati, non umani e neppure animali, poiché sono solo gli esseri inanimati coloro che puoi avere attorno senza soffrire. Solo noi, cose, non ti tradiremo e questo tu lo sai bene. Smetti perciò di mentire a te stesso e scegli quella che sai essere la tua strada: vivere da solo e diffidare del mondo.
-E questa sarebbe felicità, inutile distesa d’acqua che io con la mia massa sposto varie volte al giorno?- dice la luna. -Si stava parlando di felicità, non di sicurezza, se non erro, vero? E la felicità non è calma, stolta pozza d’acqua salmastra, la felicità è azione. E quale azione devi compiere, mio stupido eremita? Quella di amare. Ama, ama perdutamente, come amavano i poeti che io ispiravo. Ama disperatamente e la tua vita infelice avrà perlomeno un senso.
-Ma che risposta banale, patetica zitella.
-Taci tu, pozza di fango. Pensaci, ragazzo, quale è la scena più bella alla quale tu abbia mai assistito?
-Di meravigliosi spettacoli ne ho visti molti, luna, vivendo da eremita, ma il più recente che io ricordi, davvero stupendo, riguarda unalba. Ricordo che mi ero appena affacciato da una finestra a guardare il cielo ed una scena mi ha folgorato: il cielo era rosa, il mare di un azzurro elettrico, tanto intenso da sembrare un’artificiale luce al neon, e da una nuvola presso lorizzonte di un azzurrino quasi bianco si liberò un fulmine che si spense nel mare. Il tutto con la rapidità di una fotografia e lo splendore di una scenografia da opera. Ma poi, lento, il sole cominciava a sorgere dietro le nubi, tingendole di rosso purpureo, e sembrava quasi ci fosse nel cielo un grande falò. Sì, questo è ciò che ricordo, o è almeno quel poco che riesco ad esprimere a parole ricordando quelle immagini sublimi.
-Un’alba, che banalità-, dice la luna. -Non ci sono io nelle scene d’alba, in genere, quindi chissà che gusto c’è. Ma fa lo stesso. Ecco, pensaci, ragazzo, cosa è che mancava a quella scena? Cosa mancava a quel momento per renderlo perfetto? Qualcuno con il quale condividerlo, ecco cosa mancava. Ti mancava una ragazza da stringere tra le braccia mentre guardavi lalba, da proteggere dai lampi tremendi e scaldare contro il vento freddo. È questo, è questo l’amore: qualcuno con cui condividere la vita, qualcuno con cui fare a metà di ogni cosa, bellezze e dolori, che in due si sopportano meglio. Ama e la tua vita avrà un senso.
-Ma per quale ragione voi inutili esseri vi ostinate a pensare soltanto all’amore, la sotto?-, si ode dire dalle stelle con voce armoniosa e potente. -Perché soltanto questo avete nei vostri pensieri? Cos’è l’amore, se non un’illusione come un’altra che la vostra stupidità vi spinge ad inseguire, così come il pesce insegue l’amo che lo porterà alla morte?
-Ma in qualcosa dovrà pur sperare l’uomo, per vivere in questo mondo e non togliersi la vita senza neppur tentare-, risponde la luna. -Lasciate che si illuda, stelle del cielo. Almeno l’amore concedete all’uomo.
-Sì, è proprio questa la chiave di volta, luna. Sogna, uomo, sogna ed illuditi. Sogna, illuditi ed insegui ciecamente i tuoi sogni e le tue illusioni, senza pensare ad altro. Corri, inseguile, passa tutta la tua breve e miserabile vita a farlo. Vivi i tuoi sogni e cerca di realizzarli, vivi per essi e non badare a tutto il resto, non badare ai dolori, alle offese ed ai tradimenti, non farci caso. Sogna, continua come un pazzo a sognare e a sperare fin quando non sarà la morte a porre fine ad ogni tua sofferenza, insieme ad ogni tuo sogno. Questo è il nostro consiglio, di noi stelle del cielo che da quassù vi osserviamo e conosciamo ogni cosa.
-Voi conoscete ogni cosa dall’alto dei vostri siti-, dice il granello di sabbia, -ma siete troppo fuori dal mondo, stelle, per comprendere ciò che vedete. Voi non sapete, sfere celesti che in altro brillate, voi vedete e non sapete. Non sapete cosa sia la vita, voi che mai mutate forma ed aspetto, io lo so. E so bene che la vita vale nel presente, non si può viverla nei sogni e per un sogno sprecarla.
-Ma se la vita è sofferenza, non può che essere un bene per gli umani lasciarla trascorrere senza vederla e pensare ad altro, pensare a quei sogni che permettono di vivere.
-Ma la vita non è solo sofferenza, la vita ha in se qualcosa di buono. Sta solo coglierlo. Non si può ignorare la vita, chi vive ciecamente inseguendo i sogni non si ritroverà che con un po’ di fumo stretto tra le dita e nient’altro, mentre tutta la sua vita sarà trascorsa, sprecata, senza possibilità di riaverla, di tornare indietro. E allora, sì, proprio allora l’uomo conoscerà ciò che chiama “disperazione”. I sogni, alla fine, non ti danno niente, uomo. È la triste, amara verità.
-Ma come puoi dire che i sogni non sono nulla, granello di sabbia?-, dicono le stelle. -Come può essere nulla ciò che spinge i miseri uomini a vivere? Come può essere nulla ciò che gli spinge a gesta nobili, grandi imprese, vittorie, scoperte, invenzioni? Come può essere nulla ciò che gli spinge ad alzare il loro sguardo verso di noi, stelle, e sperare un giorno di raggiungerci, con lo slancio di un razzo partito verso il cielo?
-Quali inutili discorsi privi di senso, quali inutili parole-, tuona il Nulla, di cui il mondo è ricolmo. -Quanti ragionamenti privi di fondamento che dimenticano l’assunto fondamentale: voi non siete niente. Nulla sei tu, granello di sabbia, e nulla siete voi, stelle del cielo. Voi non siete niente, non esistete. Siete me, una mia parte, ricordatevelo. E nulla sei anche tu, uomo, infima creatura, niente è la felicità che vai cercando e che perciò non puoi trovare. Rassegnati, e aspetta la morte, paziente.
Esce leremita dall'acqua, abbattuto. Esce dall’acqua e, al buio, si riveste.
Un vecchio sta seduto sulla scogliera lì accanto, stringe in mano una bottiglia di vino rosso e tiene lo sguardo fisso all'orizzonte. La sua bocca, però sorride.
-Parli con il mare e con le stelle, giovane eremita?-, dice il vecchio, ridendo. Ma il ragazzo lo ignora, infastidito dalle chiacchiere di un ubriaco dopo aver parlato con il mare e con le stelle.
-Parli con il mare e con le stelle e quelli ti rispondono-, ripete il vecchio, serio, e il giovane ora si ferma ad ascoltarlo.
-Parli con loro, ma son parole inutili. Tu infatti parli di cose umane con ciò che di umano non ha nulla. Il vino, invece, lui che è frutto dell’uomo e del suo lavoro, sa tutte le risposte poiché condivide l’umana condizione di sostanza mutevole che nasce e che invecchia e muore. Chiedi al vino, ragazzo, e ti risponderà felice.
-E cosa può rispondere il vino alle domande che tu mi hai udito porre, buon vecchio?
-Che sei uno sciocco, mio giovane, poiché tu ami le entità inanimate e odi gli uomini, senza avvederti di questo: cose e uomini condividono lo stesso stato di necessità, l’uomo è condannato a camminare, parlare e nutrirsi così come la luna a muoversi regolare nel cielo.
-Ma cosa dici, vecchio?
-Pensaci, cos’è che spinge l’uomo? Emozioni, impulsi, voglie, desideri, tutte cose che vengono dall’esterno, dall’esterno dell’uomo sono stimolate. Perciò l’uomo segue queste redini così come i cavalli seguono gli ordini del cocchiere, anche l’umanità, così come tutte le cose, è inserita nel fluire della necessità che tutto determina in natura.
-Capisco, vecchio, e ti seguo.
-Ottimo, forse voi giovani siete meno addormentati di come vi rappresentano. A questo punto però è fatta, hai tutte le risposte: ora che sai che ogni uomo si comporta secondo la propria natura e la necessità del mondo, non puoi che accettare il suo agire e quindi amarlo come creatura che non fa altro che essere se stessa, così come ami il cielo e le stelle.
-Certo, vecchio, posso accettare ciò che è ed amarlo, oppure non accettare, non tollerare, e sprofondare l’uomo nel mio più nero disprezzo.
-Ma perché mai dovresti farlo, bestia di un giovane? Non saresti più felice amando che non detestando?
-Certo, lo so, lo sarei, ma non sempre posso farlo.
-E perché mai, benedetto ragazzo?
-Perché io con il mondo, io con gli uomini, sono in conflitto. Il mondo mi attacca, mi fa del male, ed io con esso sono in guerra. Perciò, non posso amare entrambe le parti in lotta: o amo me ed odio il mondo, oppure amo il mondo e disprezzo me, in ogni caso, non posso esser felice.
-E non capisci, ragazzo? Perché il mondo ti fa soffrire? Perché non ti consente di raggiungere ciò che desideri, ti chiude le ali, a te che ambizioso così in alto vuoi volare da arrivare a discutere addirittura con le stelle del cielo. Tu desideri, per questo soffri. Smetti di desiderare e non potrai più soffrire per il mondo. Cesserai di combattere contro di esso e finalmente troverai la pace, amandolo. Segui i miei consigli, figliolo, è l’unica via per la felicità.
-Perché, buon vecchio, tu sei felice? Sei realmente felice, tu, anche quando non ricorri a quella rossa medicina che tieni in mano per addormentare il tuo spirito? Credimi, anch’io sono un adoratore di Bacco, so bene quali effetti benefici il vino abbia e perché lo si consumi.
-Certo, non è facile smettere di desiderare, giovane ribaldo. Ma io ci provo, è questa la strada da intraprendere. Seguila ed otterrai l’agoniata pace che tanto desideri.
-Capisco, buon vecchio, e ti auguro di trovare la pace. Però, davvero è pensabile la cessazione di qualunque desiderio? Non è essenzialmente umano desiderare? Non è la fine di ogni desiderio una snaturazione dell’uomo che ha del chimerico, dell’impensabile, del mostruoso? È a nostra anima che ci spinge a desiderare, noi desideriamo perché siamo uomini, desideriamo per necessità, se le piace dirlo così. Per non desiderare più dovremmo sparire, essere nulla. Forse proprio nel nulla, nell’annullamento di se possiamo trovare la pace e l’equilibrio, la felicità. Forse solo dissolvendoci, sparendo, forse interrompendo non soltanto la nostra vita ma la nostra stessa esistenza possiamo essere finalmente felici e smettere di soffrire. Ma è una strada che davvero siamo disposti a compiere, buon vecchio? Davvero vogliamo rinunciare a noi stessi, al nostro corpo ed alla nostra mente, alla nostra anima? Perché di questo si tratta, di vendere la nostra anima al Nulla. Siamo davvero disposti a tanto? Siamo davvero capaci di arrivare a questo?
-Non lo so, buon giovane, non lo so. Ma allora dobbiamo per forza affrontare una vita condannati a vivere e soffrire?
-Non lo so, buon vecchio, non ho ancora trovato una risposta.
Leremita se ne va per la sua strada, solitario. Tace il vecchio seduto in riva al mare, mormorano nel sonno le acque, muto sta il granello di sabbia, taccion le stelle, ride la luna a metà.

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