Blog che tratta di politica, attualità, web, matematica, filosofia, religione, scienza, satira, poesia, letteratura, racconti, vita quotidiana, musica, tv, concerti, piste ciclabili, indovinelli logici, tramonti, albe, gatti, treni, biciclette, spaghetti al pesto, sottogruppi normali e tanto altro in attesa che l'autore decida cosa fare da grande

NOTA BENE: Questo blog è gestito da un niubbo alle prime armi, quindi non incazzatevi se commetto errori. Qualsiasi consiglio è ben accetto e prego che le critiche siano moderate. Ogni insulto verrà punito da uno squadrone di gnomi verdi, pena commutabile in ban

BLOGGER SOTTO ESAMI
Il blogger ha gli esami, l'attività del blog è dunque sospesa e riprenderà regolarmente non prima di ottobre. Sperando che il blogger li passi...

lunedì 30 aprile 2012

Se la Lega fa propaganda sui cartelli stradali

Accade a Marcallo con Casone, nel Magentino, in provincia di Milano. Sindaco Massimo Olivares, leghista, naturalmente. Forse qualcuno ha già sentito il nome di questo Comune, Marcallo: è dove Bossi si era recato ad inaugurare "Viale Padania", poco prima che gli scandali travolgessero il suo partito. Che sfortuna, eh? Ma il buon sindaco non poteva certo fermarsi al viale: ecco come appaiono i cartelli stradali che segnalano l'ingresso nel territorio comunale.


"Comune della Padania": tutti i cittadini di Marcallo con Casone sono diventati forzatamente "Padani", membri di una "Nazione" mai esistita, frutto della fantasia di chi aveva bisogno di una scusa per non pagare le tasse e sentirsi comunque a posto con la coscienza. Ecco così che i cittadini di Marcallo vengono forzatamente deportati in questo "Paese" inventato e una parte del territorio italiano (quindi di tutti, anche mio) viene rubata da un politicante in vena di farsi Re, o almeno Governatore. Così, su due piedi.
E senza vergogna.

No, fermo lì, ipotetico Leghista che sta leggendo questo articolo, so cosa stai pensando. So cosa stai pensando perché probabilmente la giustificazione che il sindaco stesso darebbe, se non ha già dato, a quel cartello è la stessa che ha dato a "Viale Padania". Aprite il link, cari (ipotetici) lettori, leghisti o non leghisti, e leggete cosa c'è scritto sotto il nome della nuova via: "antico nome geografico".
Visto? È solo un nome geografico. Eccola, la Lega "di lotta": ha paura di mostrare sé stessa in pubblico e si rifugia dietro a questi mezzucci per scrivere ciò che è in grado di affermare soltanto a parole (verba volant...). Perché è vero, "Padania" è anche un antico nome geografico, l'ipotetico lettore leghista era già pronto con il link da Wikipedia per smentirmi. Come se avesse una qualche rilevanza. Come se la Lega Nord usasse quel termine come "antico nome geografico" e non con valenza politica, come nome di una patria inventata, parte integrante della propaganda di partito.
No, niente scuse, il termine "Padania" in un tale contesto ha valenza puramente politica, tutto il resto è ipocrisia; mezzucci come "antico nome geografico" non rendono il fatto meno grave e non assolvono i responsabili, rendono solo la Lega un po' più simile ad una cattiva farsa da fiera paesana.

Perché il fatto è grave, signori miei. È molto più grave di un qualche affitto pagato dal partito per la casa di Calderoli. Questo è usare un bene pubblico per fare propaganda politica a proprio favore. È abusare della propria posizione di potere per imporre agli altri le proprie convinzioni, peraltro (storicamente) errate. Questa è occupazione della cosa pubblica da parte di un partito politico ai danni della collettività, un processo che coinvolge da anni molte forze politiche e a cui la Lega aderisce a pieno titolo.
In questa vicenda, però, c'è di peggio, paradossalmente proprio perché questa volta non ci sono di mezzo dei soldi, non è una comune ruberia. Qui si tratta solo di potere, di abuso di potere fine a sé stesso. Proprio la banalità di questo fatto, l'assenza di un "movente" materiale, fa sì che si possa trovarne una e una sola causa: l'analfabetismo. Un tale abuso di potere non può che essere frutto di analfabetismo civile, profondo analfabetismo civile da parte di chi ha avuto l'idea, di chi l'ha approvata, di chi l'ha consentita e di chi ancora la giustifica, poiché solo un analfabeta civile riflettendo sopra questi avvenimenti potrebbe non accorgersi della loro gravità. Questo analfabetismo è parte integrante del degrado del mondo politico italiano, del quale la Lega deve esserne considerata a pieno titolo uno dei principali artefici. Senza scusanti.

Con questo concludo, le mie ridotte possibilità mi consentono solo di segnalare l'avvenimento, non di approfondirlo ulteriormente. Lascio ad altri il compito.
Ecco a voi, quindi, questa piccola cronaca di ordinaria vergogna, dalla grande provincia milanese.

giovedì 12 aprile 2012

Ma il Grande Fratello di Orwell su Facebook è appena uno stalker (mentre con Google qualcosa di più)

Aiuto, il Grande Fratello! No, non l'orribile programma televisivo che ha appena chiuso, si spera per sempre, sto parlando della figura orwelliana che a quanto pare, nonostante l'età ormai veneranda, ha imparato ad usare Facebook e proprio ora vi sta inviando una richiesta di amicizia (ma solo se avete "single" come situazione sentimentale).
Ma di cosa sto parlando? Ok, forse è il caso di porre una premessa. Ho letto oggi, su la Repubblica di un paio di giorni fa, questo articolo, un po' paranoico e molto superficiale, sul fatto che i social network siano diventati una sorta di perfetto Grande Fratello che spia ogni nostro pensiero, peraltro con il nostro pieno consenso. L'autore dell'articolo è Hans Magnus Enzensberger, grande poeta e scrittore tedesco, il quale entra così a far parte della nutrita schiera di coloro che ritengono Facebook & co. pericolose minacce alla nostra privacy. L'articolo di Enzensberger usa però un linguaggio molto più efficace della media e la cosa mi ha fatto venire voglia di dire la mia.
Viviamo spiati da un Grande Fratello che nemmeno Orwell aveva previsto? Innanzitutto, ma solo perché a volte so essere puntiglioso fino all'inverosimile, ci terrei a far notare che Enzensberger, così come molti prima di lui, nel paragonare una parte di internet alle telecamere del Grande Fratello trascura quello che in fondo è appena un dettaglio, potremmo dire una virgola: nella superpotenza di Oceania immaginata da Orwell chi manifestava il se pur minimo dissenso verso il Grande Fratello veniva imprigionato, torturato, plagiato fino ad ottenere da lui il più completo consenso e infine, giusto come cortesia, giustiziato. Ecco, piccolo dettaglio, nel mondo occidentale, salvo casi eccezionali, questo non succede. Potrebbe succedere in futuro? Forse, ma a questo arriverò più tardi. Per adesso, pur essendo io un "Komunista" mangiabambini, sono ancora vivo.
In secondo luogo, è convinzione comune degli avversatori dei social network che tramite essi si possa sapere tutto, o molto, di una persona. Quello che non capiscono è che se una persona scrive qualcosa su un social network è proprio perché vuole farlo sapere ai più. Quindi, per sillogismo, se non vuoi far sapere qualcosa ai più non lo scrivi su un social network. È semplice. Se un utente Facebook ha un'amante e non vuole che la moglie lo sappia non scrive "ragazzi, scopata da Guinness" come stato personale proprio nei giorni in cui la moglie è in vacanza. Se lo fa e viene scoperto non è colpa di Facebook, è lui che è un coglione. Allo stesso modo, se una persona vuole violare una delle non poche leggi ingiuste presenti qua e là in Occidente, per esempio comprando marijuana o coltivandola, non si accorda con il proprio pusher via Twitter (i tweet sono sempre pubblici) ma usa metodi un po' più privati e che non lasciano traccia in qualche database. È vero che succede già oggi che le forze dell'ordine usino i social network per contrastare bande di spacciatori o anche per svolgere indagini di altro tipo, a volte anche in modo discutibile (qui un articolo interessante in proposito), ma se ci riescono è solo a causa dell'imprudenza (o niubbaggine) degli indagati.
Se io esprimo le mie opinioni politiche su un social network, quindi, è perché le voglio far sapere agli altri e quindi non è un problema se qualcuno (lo Stato, Mark Zuckerberg, il NWO, Sauron di Mordor o chi volete) le viene a sapere. Se mi trovassi sotto una dittatura ed esprimerle mi esporrebbe a pericoli che non voglio correre, semplicemente eviterei di scriverne in un social network; attualmente, però, se il Grande Fratello vuole sapere se sono davvero un Comunistaccio brutto e cattivo può semplicemente chiedermelo, se invece è timido e preferisce scoprirlo dal mio profilo Facebook faccia pure, io faccio lo stesso per sapere se la tipa seduta due banchi davanti a me è diventata single (no, scherzo, non si fa). Dei miei segreti più torbidi e nascosti, che non voglio vengano conosciuti da altri, invece non faccio parola, né su Facebook né altrove, così come suppongo non faccia la tipa che spio (chissà... scherzo, non si spia).
Quindi, il Grande Fratello su Facebook o Twitter, giusto per citare i social network più usati, non è più pericoloso di quanto non lo sia io per quella ragazza. E per Google vale la stessa cosa? Ecco, di questo non sono sicuro.
Ma perché mai? Ora ce l'hai anche tu con Google? Cosa cambia tra Google e Facebook? Qualcosa cambia, in effetti. Mi spiego con un esempio. Supponiamo che io sia un appassionato del sesso sadomaso. In realtà non è vero, tutt'altro, ma facciamo finta che lo sia. Ora, nel caso non mi importasse nulla di farlo sapere in giro lo scriverei apertamente su Facebook e magari userei il social network per cercare delle partner con la mia stessa passione (chissà se quella tipa di prima...). Però sarebbe anche legittimo supporre che io non ci tenga a farlo sapere ai più e in questo caso sarebbe mio diritto tenerlo privato. Così, non scriverei niente a riguardo sul mio profilo Facebook, non metterei "Mi Piace" alla pagina "Gli amanti del bondage" o ai post che parlano di quanto siano belli i frustini di cuoio, non twitterei di grandi performance e non direi nulla neppure su Google+. Però potrei usare Google per cercare qualcuno che vende dilatatori usati in buono stato (bleah!) e potrei comprarli tramite eBay. Ora, mi chiedo, la mia persona, persona "fisica", potrebbe venire in qualche modo collegata a quella ricerca su Google? Per quanto tempo i dati relativi ad essa verrebbero conservati? Qualcuno potrebbe mai venirne in possesso? Qui la questione comincia ad essere differente e non si può obiettare dicendo che quei dati potrei anche non cederli, poiché a differenza di un social network un motore di ricerca non è un contenitore di dati e non ha come scopo quello di condividerli, quindi avrei buone ragioni per pensare che quelle informazioni non vengano usate per fini altri, o perlomeno non vengano rese pubbliche. Per dare un'idea, scoprire qualcosa su di me tramite Facebook sarebbe come guardare dentro casa mia da una finestra lasciata aperta, leggere le mie ricerche su Google è come frugare nella mia spazzatura e vedere se ci sono preservativi usati.
Quindi, quanto lo staff di Google sa di me? Per rispondere a questa domanda ho deciso di fare ciò che pochi uomini prima di me hanno osato fare: leggere le norme sulla privacy. Le quali, ho scoperto, contengono molte informazioni interessanti. Conclusione? Google ci spia, ma desiste facilmente.
Troppo sintetico? Ora mi spiego. Innanzitutto, leggendo le norme sulla privacy di Google ci si accorge che l'elenco dei dati che l'azienda raccoglie o che "potrebbe raccogliere e memorizzare automaticamente" è notevole, e comprende addirittura il vostro numero di telefono. Che però l'autorità giudiziaria, per esempio, non faticherebbe a procurarsi in altro modo. Facile poi che questo elenco sia volutamente allargato in modo da non incappare in "eccezioni" non previste che potrebbero costare caro in tribunale. Quello che conta sono le informazioni riguardanti l'uso del motore di ricerca, mi concentrerò quindi su quelle.
Prima mi sono chiesto se la mia persona può essere collegata ad una ricerca su Google, per quanto tempo i dati restano conservati e chi può accedervi. Parto rispondendo all'ultima di queste domande. Chi accede ai miei dati? Google dichiara che "forniamo dati personali a società, organizzazioni e persone che non fanno parte di Google qualora ritenessimo in buona fede che l’accesso, l’utilizzo, la tutela o la divulgazione di tali informazioni sia ragionevolmente necessario per soddisfare eventuali leggi o norme vigenti, procedimenti legali o richieste governative applicabili". Ci sono altre ragioni, ma questa è la più rilevante. Perché? Perché capita che le "norme vigenti" siano piuttosto permissive in questo senso. Esistono infatti accordi e addirittura proposte di legge che prevedono la possibilità per le forze dell'ordine di accedere alle informazioni personali contenute nei database di alcuni importanti siti e di farlo senza un regolare mandato, in barba ad ogni idea di Stato di Diritto. Se un tale principio venisse applicato ai dati di Google le forze dell'ordine di alcuni Paesi potrebbero accedere a proprio piacimento, ovvero senza l'obbligo di mandato, a un grande numero di informazioni personali, anche su cittadini di altri Stati. Questo indipendentemente da Google, che potrebbe solo sottostare alle leggi, oppure chiudere. Ebbene, mi sembra un buon motivo per non volere i dati sulle proprie ricerche conservati da qualche parte nella Silicon Valley. Quindi, le mie ricerche possono essere collegate a me? Sì, se ho un account Google, con nome e cognome. Restano in memoria? Sì, ma solo per fare pubblicità. Da ciò che ho capito leggendo le FAQ riguardanti la pubblicità su Google, infatti, il motore di ricerca memorizza per scopi commerciali i dati riguardanti le nostre ricerche e i siti che visitiamo e lo fa conservando la cronologia web del nostro account e tramite i controversi cookie, che sono però salvati sul nostro apparecchio e non in un database da qualche parte a Mountain View. Certo, sui cookie si sollevano ancora molti dubbi riguardanti la privacy, ma il motore di ricerca offre la possibilità di disattivarne l'utilizzo per scopi pubblicitari, a questa pagina. Cliccando su disattiva, si disattiva anche la creazione stessa dei cookie commerciali. La "Cronologia web di Google" invece è salvata, questa sì, sui server da qualche parte a Mountain View, ma anche essa può essere disattivata facilmente a questo link. Inoltre, Google fornisce una serie di strumenti per controllare quali informazioni sull'account siano conservate.
In sintesi, quindi, l'azienda punta sulla trasparenza e su un'ampia gestione da parte dell'utente dei propri dati personali, anche quelli ricavabili dalle ricerche web. Questo perché, semplicemente, Google non ha particolari interessi a spiarci, anche senza farlo può fornire una pubblicità mirata meglio di (quasi) tutti i concorrenti, mentre seri dubbi sulla gestione della privacy farebbero perdere al colosso molti utenti e quindi montagne di quattrini. Tuttavia, la massima tutela della privacy non è prevista in automatico, ma va impostata dall'utente. Il mio consiglio è di farlo, a fronte delle minacce di abuso di potere che alcune leggi avanzano con la scusa della legalità o della sicurezza nazionale.
In conclusione, le parole di Enzensberger sono paranoiche ed esagerano la realtà, ma sono risultate un buono stimolo per riflessioni e indagini su di essa.
I motori di ricerca e i social network hanno rimesso in discussione i concetti di privato e pubblico ma entrambi i concetti devono continuare ad esistere e la sfera privata necessita di tutele. Le enormi quantità di dati che i gestori di questi servizi internet si trovano tra le mani sono fonti di lauti guadagni, ma fanno gola a chi ancora coltiva il mantra del controllo sociale e vede in essi una possibile arma a proprio favore. È bene quindi tenere sotto controllo quali informazioni condividiamo con il prossimo e verificare quali informazioni acconsentiamo vengano raccolte, non in vista di un Grande Fratello orwelliano ma di quei Piccoli Fratellini che forse pensano di aver trovato un forziere di monete d'oro, del quale però noi abbiamo la chiave.