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BLOGGER SOTTO ESAMI
Il blogger ha gli esami, l'attività del blog è dunque sospesa e riprenderà regolarmente non prima di ottobre. Sperando che il blogger li passi...

sabato 19 maggio 2012

Non sparate sul M5S (può tornare utile, al Centrosinistra)

Come i miei pochi lettori fissi sanno bene, io, Notturno, non sono per nulla un fan di Beppe Grillo. Lo ritengo anzi un capopopolo alla pari di Berlusconi o di Bossi, troppo pieno di sé per accorgersi di stare dicendo perlopiù idiozie da ormai qualche anno, oltre che un pessimo blogger (in base al rispetto delle mie cinque regole di buon posting), di idee tendenzialmente di destra e qualche volta xenofobe.
Tuttavia, oggi voglio spezzare una lancia a favore del Movimento 5 Stelle: io, Notturno, penso che il M5S possa avere un ruolo positivo e produttivo nella politica italiana. Anzi, vi dirò di più, penso che il M5S possa avere effetti benefici sugli stessi partiti politici italiani e sul loro operato, specialmente per ciò che riguarda quelli di Centrosinistra.
Sorpresi? Critico Grillo ma parlo bene del M5S? Beh, se lo faccio innanzitutto è perché il M5S non è Grillo. Come avevo già detto, infatti, è già accaduto che alcuni esponenti del M5S non seguissero le direttive del comico fondatore e questo tutt'ora continua ad accadere. Certo, non sono cieco, so bene che Grillo ha nel Movimento un peso notevole oltre che una notevole influenza (ma approfondirò il rapporto tra Grillo e M5S in futuro), tuttavia non credo che si possa parlare dell'uno e dell'altro come se fossero una cosa sola.
Proprio perché non è Grillo, quindi, il M5S ha un'occasione da non sprecare: quella di essere una novità. Grillo infatti non è una novità, altri molto simili a lui lo hanno preceduto sulla scena pubblica in passato, ma è una novità l'ondata di impegno civile che ha attraversato l'Italia in questi anni e il M5S è uno dei golfi, non li solo, in cui quest'onda è confluita.
Trovo infatti il M5S interessante e che possa essere utile innanzitutto come voce propositiva. Provate a sfogliare il loro programma, sono solo quindici pagine. Certo, non tutte le idee che contiene sono buone, ma penso che in esso ci siano anche non poche proposte interessanti e innovative, come in tema di risparmio energetico e di indipendenza dei media, oltre che posizioni come il sostegno all'abolizione delle provincie che non sono certo una novità ma che comunque è bene vengano sostenute.
L'unico problema è che il M5S non è in grado di affermare queste sue buone idee, per questione di numeri ma soprattutto di mancanza di esperienza. Tuttavia, restano buone idee, sarebbe un peccato sprecarle. Se un partito politico che non difetta né di numeri né di esperienza decidesse di sostenerle farebbe del bene per l'Italia e inoltre renderebbe felici i propri elettori (specie se di Centrosinistra). Perciò, l'attività degli M5S non solo non gli toglierebbe voti ma li farebbe anzi guadagnare sostenitori. Il M5S cresce grazie alla crisi dei partiti, se un partito politico ne uscisse non avrebbe nulla da temere nei suoi confronti.
Anche la crescita del M5S a scapito dei partiti tradizionali, tuttavia, può avere di per sé effetti positivi su un partito politico. Il motivo è semplice: il M5S costituisce un efficace "pungolo" per i partiti politici più grandi, ricordando loro che se non si comportano come dovrebbero rischiano di venire battuti. Il rischio di perdere voti in favore del Movimento può essere una buona motivazione per i partiti per non adagiarsi sugli allori, anche nelle proprie "roccaforti". Per capire cosa intendo, pensate al caso di Bologna, ultime elezioni amministrative: roccaforte del Centrosinistra, la vittoria del candidato del PD, Merola, non è così scontata, a causa della brutta figura fatta dal sindaco uscente, anch'egli di estrazione PD, dimessosi dopo essere stato messo sotto indagine. Alla fine Merola vince, ma per pochi voti, e il M5S sfiora il 10%, risultato notevole. Poco dopo essere stato eletto, il neosindaco vieta l'uso delle auto blu agli assessori. Lo avrebbe fatto anche senza il buon risultato del M5S a scapito della sua coalizione? Forse sì, forse no, certo l'aver rischiato di perdere e l'aver regalato molti voti al Movimento incalzante sono stati ottimi argomenti a favore del taglio ai costi dell'amministrazione.
Tuttavia, il motivo principale per cui considero l'esistenza del M5S addirittura una fortuna è un altro. Provate a pensare alle recenti elezioni in Francia e Grecia, cari lettori, e paragonatele con quelle amministrative italiane da poco terminate (ballottaggi ora in corso). Quelle italiane presentano un'anomalia. Quale? Questa: in Italia il temuto exploit delle forze di estrema destra non è avvenuto. In Francia il partito neonazista Fronte Nazionale di Marine Le Pen è arrivato al 18% mentre nella Grecia devastata dalla crisi economica i nazisti di Alba Dorata sono passati da nulla al 7%. In Italia invece l'estrema destra per ora mantiene circa gli stessi voti di prima della crisi; anzi, il partito che tra quelli presenti in Parlamento da ospitalità maggiore a idee di estrema destra, la Lega Nord, ha ottenuto risultati assai negativi. Ma cosa c'entra il M5S con tutto questo? C'entra. Riflettiamoci, chi vota i partiti neonazisti? I Neonazisti, è chiaro, ma chi altro? Davvero la Grecia si è riempita tutto d'un tratto di folli di estrema destra? Direi più che altro che il voto dato all'estrema destra spesso è un voto di protesta, è un semplice votare un'alternativa ai partiti "tradizionali", che si giudica abbiano fallito. Protesta totalmente irresponsabile, è chiaro, ma crisi economica e terribili prospettive per il futuro possono portare anche a questo.
E perché tutto ciò in Italia non avviene, pur essendoci un forte disagio (forse meno che in Grecia, ma non meno che in Francia)? Perché il voto di protesta è intercettato da qualcun altro, ovvero dal Movimento 5 Stelle. Certo, in una Democrazia perfetta un tale voto non dovrebbe esistere, però esiste e quindi è un bene che vada al M5S piuttosto che a qualcuno molto più pericoloso.

Quindi, votiamo tutti il M5S? No, personalmente non ho intenzione di votarlo poiché non credo che l'avere qualche buona idea su alcuni temi e l'essere un pungolo per gli altri partiti siano motivi sufficienti per dare il mio voto a qualcuno. Quello che voglio dire è solo che bisogna tenere conto anche di questo quando si esprimono giudizi sulla crescita del M5S. I partiti politici in particolare dovrebbero guardare al M5S in modo diverso, non nascondendosi dietro la definizione di antipolitica, che in parte è fondata ma è riduttiva, ma prestando orecchio a ciò che il Movimento propone e chiedendosi seriamente come fare per non farsi togliere voti dal M5S ma anzi come fare a toglierli ad esso. Poiché se esiste voto di protesta è perché c'è qualcuno contro cui si ha ragione di protestare.
L'antipolitica è figlia della politica, è bene ricordarlo.

lunedì 30 aprile 2012

Se la Lega fa propaganda sui cartelli stradali

Accade a Marcallo con Casone, nel Magentino, in provincia di Milano. Sindaco Massimo Olivares, leghista, naturalmente. Forse qualcuno ha già sentito il nome di questo Comune, Marcallo: è dove Bossi si era recato ad inaugurare "Viale Padania", poco prima che gli scandali travolgessero il suo partito. Che sfortuna, eh? Ma il buon sindaco non poteva certo fermarsi al viale: ecco come appaiono i cartelli stradali che segnalano l'ingresso nel territorio comunale.


"Comune della Padania": tutti i cittadini di Marcallo con Casone sono diventati forzatamente "Padani", membri di una "Nazione" mai esistita, frutto della fantasia di chi aveva bisogno di una scusa per non pagare le tasse e sentirsi comunque a posto con la coscienza. Ecco così che i cittadini di Marcallo vengono forzatamente deportati in questo "Paese" inventato e una parte del territorio italiano (quindi di tutti, anche mio) viene rubata da un politicante in vena di farsi Re, o almeno Governatore. Così, su due piedi.
E senza vergogna.

No, fermo lì, ipotetico Leghista che sta leggendo questo articolo, so cosa stai pensando. So cosa stai pensando perché probabilmente la giustificazione che il sindaco stesso darebbe, se non ha già dato, a quel cartello è la stessa che ha dato a "Viale Padania". Aprite il link, cari (ipotetici) lettori, leghisti o non leghisti, e leggete cosa c'è scritto sotto il nome della nuova via: "antico nome geografico".
Visto? È solo un nome geografico. Eccola, la Lega "di lotta": ha paura di mostrare sé stessa in pubblico e si rifugia dietro a questi mezzucci per scrivere ciò che è in grado di affermare soltanto a parole (verba volant...). Perché è vero, "Padania" è anche un antico nome geografico, l'ipotetico lettore leghista era già pronto con il link da Wikipedia per smentirmi. Come se avesse una qualche rilevanza. Come se la Lega Nord usasse quel termine come "antico nome geografico" e non con valenza politica, come nome di una patria inventata, parte integrante della propaganda di partito.
No, niente scuse, il termine "Padania" in un tale contesto ha valenza puramente politica, tutto il resto è ipocrisia; mezzucci come "antico nome geografico" non rendono il fatto meno grave e non assolvono i responsabili, rendono solo la Lega un po' più simile ad una cattiva farsa da fiera paesana.

Perché il fatto è grave, signori miei. È molto più grave di un qualche affitto pagato dal partito per la casa di Calderoli. Questo è usare un bene pubblico per fare propaganda politica a proprio favore. È abusare della propria posizione di potere per imporre agli altri le proprie convinzioni, peraltro (storicamente) errate. Questa è occupazione della cosa pubblica da parte di un partito politico ai danni della collettività, un processo che coinvolge da anni molte forze politiche e a cui la Lega aderisce a pieno titolo.
In questa vicenda, però, c'è di peggio, paradossalmente proprio perché questa volta non ci sono di mezzo dei soldi, non è una comune ruberia. Qui si tratta solo di potere, di abuso di potere fine a sé stesso. Proprio la banalità di questo fatto, l'assenza di un "movente" materiale, fa sì che si possa trovarne una e una sola causa: l'analfabetismo. Un tale abuso di potere non può che essere frutto di analfabetismo civile, profondo analfabetismo civile da parte di chi ha avuto l'idea, di chi l'ha approvata, di chi l'ha consentita e di chi ancora la giustifica, poiché solo un analfabeta civile riflettendo sopra questi avvenimenti potrebbe non accorgersi della loro gravità. Questo analfabetismo è parte integrante del degrado del mondo politico italiano, del quale la Lega deve esserne considerata a pieno titolo uno dei principali artefici. Senza scusanti.

Con questo concludo, le mie ridotte possibilità mi consentono solo di segnalare l'avvenimento, non di approfondirlo ulteriormente. Lascio ad altri il compito.
Ecco a voi, quindi, questa piccola cronaca di ordinaria vergogna, dalla grande provincia milanese.

giovedì 12 aprile 2012

Ma il Grande Fratello di Orwell su Facebook è appena uno stalker (mentre con Google qualcosa di più)

Aiuto, il Grande Fratello! No, non l'orribile programma televisivo che ha appena chiuso, si spera per sempre, sto parlando della figura orwelliana che a quanto pare, nonostante l'età ormai veneranda, ha imparato ad usare Facebook e proprio ora vi sta inviando una richiesta di amicizia (ma solo se avete "single" come situazione sentimentale).
Ma di cosa sto parlando? Ok, forse è il caso di porre una premessa. Ho letto oggi, su la Repubblica di un paio di giorni fa, questo articolo, un po' paranoico e molto superficiale, sul fatto che i social network siano diventati una sorta di perfetto Grande Fratello che spia ogni nostro pensiero, peraltro con il nostro pieno consenso. L'autore dell'articolo è Hans Magnus Enzensberger, grande poeta e scrittore tedesco, il quale entra così a far parte della nutrita schiera di coloro che ritengono Facebook & co. pericolose minacce alla nostra privacy. L'articolo di Enzensberger usa però un linguaggio molto più efficace della media e la cosa mi ha fatto venire voglia di dire la mia.
Viviamo spiati da un Grande Fratello che nemmeno Orwell aveva previsto? Innanzitutto, ma solo perché a volte so essere puntiglioso fino all'inverosimile, ci terrei a far notare che Enzensberger, così come molti prima di lui, nel paragonare una parte di internet alle telecamere del Grande Fratello trascura quello che in fondo è appena un dettaglio, potremmo dire una virgola: nella superpotenza di Oceania immaginata da Orwell chi manifestava il se pur minimo dissenso verso il Grande Fratello veniva imprigionato, torturato, plagiato fino ad ottenere da lui il più completo consenso e infine, giusto come cortesia, giustiziato. Ecco, piccolo dettaglio, nel mondo occidentale, salvo casi eccezionali, questo non succede. Potrebbe succedere in futuro? Forse, ma a questo arriverò più tardi. Per adesso, pur essendo io un "Komunista" mangiabambini, sono ancora vivo.
In secondo luogo, è convinzione comune degli avversatori dei social network che tramite essi si possa sapere tutto, o molto, di una persona. Quello che non capiscono è che se una persona scrive qualcosa su un social network è proprio perché vuole farlo sapere ai più. Quindi, per sillogismo, se non vuoi far sapere qualcosa ai più non lo scrivi su un social network. È semplice. Se un utente Facebook ha un'amante e non vuole che la moglie lo sappia non scrive "ragazzi, scopata da Guinness" come stato personale proprio nei giorni in cui la moglie è in vacanza. Se lo fa e viene scoperto non è colpa di Facebook, è lui che è un coglione. Allo stesso modo, se una persona vuole violare una delle non poche leggi ingiuste presenti qua e là in Occidente, per esempio comprando marijuana o coltivandola, non si accorda con il proprio pusher via Twitter (i tweet sono sempre pubblici) ma usa metodi un po' più privati e che non lasciano traccia in qualche database. È vero che succede già oggi che le forze dell'ordine usino i social network per contrastare bande di spacciatori o anche per svolgere indagini di altro tipo, a volte anche in modo discutibile (qui un articolo interessante in proposito), ma se ci riescono è solo a causa dell'imprudenza (o niubbaggine) degli indagati.
Se io esprimo le mie opinioni politiche su un social network, quindi, è perché le voglio far sapere agli altri e quindi non è un problema se qualcuno (lo Stato, Mark Zuckerberg, il NWO, Sauron di Mordor o chi volete) le viene a sapere. Se mi trovassi sotto una dittatura ed esprimerle mi esporrebbe a pericoli che non voglio correre, semplicemente eviterei di scriverne in un social network; attualmente, però, se il Grande Fratello vuole sapere se sono davvero un Comunistaccio brutto e cattivo può semplicemente chiedermelo, se invece è timido e preferisce scoprirlo dal mio profilo Facebook faccia pure, io faccio lo stesso per sapere se la tipa seduta due banchi davanti a me è diventata single (no, scherzo, non si fa). Dei miei segreti più torbidi e nascosti, che non voglio vengano conosciuti da altri, invece non faccio parola, né su Facebook né altrove, così come suppongo non faccia la tipa che spio (chissà... scherzo, non si spia).
Quindi, il Grande Fratello su Facebook o Twitter, giusto per citare i social network più usati, non è più pericoloso di quanto non lo sia io per quella ragazza. E per Google vale la stessa cosa? Ecco, di questo non sono sicuro.
Ma perché mai? Ora ce l'hai anche tu con Google? Cosa cambia tra Google e Facebook? Qualcosa cambia, in effetti. Mi spiego con un esempio. Supponiamo che io sia un appassionato del sesso sadomaso. In realtà non è vero, tutt'altro, ma facciamo finta che lo sia. Ora, nel caso non mi importasse nulla di farlo sapere in giro lo scriverei apertamente su Facebook e magari userei il social network per cercare delle partner con la mia stessa passione (chissà se quella tipa di prima...). Però sarebbe anche legittimo supporre che io non ci tenga a farlo sapere ai più e in questo caso sarebbe mio diritto tenerlo privato. Così, non scriverei niente a riguardo sul mio profilo Facebook, non metterei "Mi Piace" alla pagina "Gli amanti del bondage" o ai post che parlano di quanto siano belli i frustini di cuoio, non twitterei di grandi performance e non direi nulla neppure su Google+. Però potrei usare Google per cercare qualcuno che vende dilatatori usati in buono stato (bleah!) e potrei comprarli tramite eBay. Ora, mi chiedo, la mia persona, persona "fisica", potrebbe venire in qualche modo collegata a quella ricerca su Google? Per quanto tempo i dati relativi ad essa verrebbero conservati? Qualcuno potrebbe mai venirne in possesso? Qui la questione comincia ad essere differente e non si può obiettare dicendo che quei dati potrei anche non cederli, poiché a differenza di un social network un motore di ricerca non è un contenitore di dati e non ha come scopo quello di condividerli, quindi avrei buone ragioni per pensare che quelle informazioni non vengano usate per fini altri, o perlomeno non vengano rese pubbliche. Per dare un'idea, scoprire qualcosa su di me tramite Facebook sarebbe come guardare dentro casa mia da una finestra lasciata aperta, leggere le mie ricerche su Google è come frugare nella mia spazzatura e vedere se ci sono preservativi usati.
Quindi, quanto lo staff di Google sa di me? Per rispondere a questa domanda ho deciso di fare ciò che pochi uomini prima di me hanno osato fare: leggere le norme sulla privacy. Le quali, ho scoperto, contengono molte informazioni interessanti. Conclusione? Google ci spia, ma desiste facilmente.
Troppo sintetico? Ora mi spiego. Innanzitutto, leggendo le norme sulla privacy di Google ci si accorge che l'elenco dei dati che l'azienda raccoglie o che "potrebbe raccogliere e memorizzare automaticamente" è notevole, e comprende addirittura il vostro numero di telefono. Che però l'autorità giudiziaria, per esempio, non faticherebbe a procurarsi in altro modo. Facile poi che questo elenco sia volutamente allargato in modo da non incappare in "eccezioni" non previste che potrebbero costare caro in tribunale. Quello che conta sono le informazioni riguardanti l'uso del motore di ricerca, mi concentrerò quindi su quelle.
Prima mi sono chiesto se la mia persona può essere collegata ad una ricerca su Google, per quanto tempo i dati restano conservati e chi può accedervi. Parto rispondendo all'ultima di queste domande. Chi accede ai miei dati? Google dichiara che "forniamo dati personali a società, organizzazioni e persone che non fanno parte di Google qualora ritenessimo in buona fede che l’accesso, l’utilizzo, la tutela o la divulgazione di tali informazioni sia ragionevolmente necessario per soddisfare eventuali leggi o norme vigenti, procedimenti legali o richieste governative applicabili". Ci sono altre ragioni, ma questa è la più rilevante. Perché? Perché capita che le "norme vigenti" siano piuttosto permissive in questo senso. Esistono infatti accordi e addirittura proposte di legge che prevedono la possibilità per le forze dell'ordine di accedere alle informazioni personali contenute nei database di alcuni importanti siti e di farlo senza un regolare mandato, in barba ad ogni idea di Stato di Diritto. Se un tale principio venisse applicato ai dati di Google le forze dell'ordine di alcuni Paesi potrebbero accedere a proprio piacimento, ovvero senza l'obbligo di mandato, a un grande numero di informazioni personali, anche su cittadini di altri Stati. Questo indipendentemente da Google, che potrebbe solo sottostare alle leggi, oppure chiudere. Ebbene, mi sembra un buon motivo per non volere i dati sulle proprie ricerche conservati da qualche parte nella Silicon Valley. Quindi, le mie ricerche possono essere collegate a me? Sì, se ho un account Google, con nome e cognome. Restano in memoria? Sì, ma solo per fare pubblicità. Da ciò che ho capito leggendo le FAQ riguardanti la pubblicità su Google, infatti, il motore di ricerca memorizza per scopi commerciali i dati riguardanti le nostre ricerche e i siti che visitiamo e lo fa conservando la cronologia web del nostro account e tramite i controversi cookie, che sono però salvati sul nostro apparecchio e non in un database da qualche parte a Mountain View. Certo, sui cookie si sollevano ancora molti dubbi riguardanti la privacy, ma il motore di ricerca offre la possibilità di disattivarne l'utilizzo per scopi pubblicitari, a questa pagina. Cliccando su disattiva, si disattiva anche la creazione stessa dei cookie commerciali. La "Cronologia web di Google" invece è salvata, questa sì, sui server da qualche parte a Mountain View, ma anche essa può essere disattivata facilmente a questo link. Inoltre, Google fornisce una serie di strumenti per controllare quali informazioni sull'account siano conservate.
In sintesi, quindi, l'azienda punta sulla trasparenza e su un'ampia gestione da parte dell'utente dei propri dati personali, anche quelli ricavabili dalle ricerche web. Questo perché, semplicemente, Google non ha particolari interessi a spiarci, anche senza farlo può fornire una pubblicità mirata meglio di (quasi) tutti i concorrenti, mentre seri dubbi sulla gestione della privacy farebbero perdere al colosso molti utenti e quindi montagne di quattrini. Tuttavia, la massima tutela della privacy non è prevista in automatico, ma va impostata dall'utente. Il mio consiglio è di farlo, a fronte delle minacce di abuso di potere che alcune leggi avanzano con la scusa della legalità o della sicurezza nazionale.
In conclusione, le parole di Enzensberger sono paranoiche ed esagerano la realtà, ma sono risultate un buono stimolo per riflessioni e indagini su di essa.
I motori di ricerca e i social network hanno rimesso in discussione i concetti di privato e pubblico ma entrambi i concetti devono continuare ad esistere e la sfera privata necessita di tutele. Le enormi quantità di dati che i gestori di questi servizi internet si trovano tra le mani sono fonti di lauti guadagni, ma fanno gola a chi ancora coltiva il mantra del controllo sociale e vede in essi una possibile arma a proprio favore. È bene quindi tenere sotto controllo quali informazioni condividiamo con il prossimo e verificare quali informazioni acconsentiamo vengano raccolte, non in vista di un Grande Fratello orwelliano ma di quei Piccoli Fratellini che forse pensano di aver trovato un forziere di monete d'oro, del quale però noi abbiamo la chiave.

mercoledì 28 marzo 2012

"Cascata di capelli mossi e neri" (poesia di Carlo Odisseo)


Cascata di capelli mossi e neri
Si scioglie la tua chioma sulle spalle
Sorridi tu e cominci a riacconciarla
In una crocchia semplice e un po' storta


"Insomma, sono ancora spettinata"
Non sai quanto sei bella se sorridi
Nei tuoi capelli avvolta a mo' di scialle
"Ma tanto resti brutta come prima"


"Oh grazie, che gentile, un complimento"
"Ma sì, dai, sto scherzando, già lo sai"
Ti amo e non so dirti ciò che sento


"Sai? con il mio ragazzo vado al mare.
Ma tu hai lo sguardo spento, come stai?"
"Sto bene, tutto ok, non mi lamento"

(Carlo Odisseo)


Non so come io ci sia riuscito, ma ho convinto il mio amico Carlo Odisseo a lasciarmi pubblicare questa sua poesia, il che è un evento piuttosto raro, lui in genere è molto (molto molto molto) riservato, specie riguardo a questioni di "cuore". Però a me questa poesia piace molto, rivela un aspetto del mio amico che lui di solito non mostra, celato sotto la sua maschera di riserbo e freddezza. Così ho insistito, fino a che lui non ha ceduto, l'ho preso per sfinimento e lui, per non dovermi più sentire, mi ha detto di sì. Perseverando si ottengono molte cose.
Però, lui ha accampato una scusa per giustificare questa sua capitolazione. "Questa poesia parla di un sentimento che non provo più, è frutto di un amore, anzi di un innamoramento, ormai finito. Perciò non è più parte di me e quindi posso anche lasciartela", questo mi ha detto. Che sia vero o sia solo una scusa, non lo so, è anche per me imperscrutabile.
Comunque, ditemi cosa ne pensate.



P.s.
È vero, con tutto quello che ci sarebbe da dire in questi giorni io me la cavo con una poesia del mio amico Carlo. Ma, davvero, sono troppo impegnato, non ho trovato il tempo di scrivere un buon articolo informato, anche perché temi come la riforma del lavoro non sono facili e richiedono un po' di studio preliminare, però non voglio scrivere articoli superficiali e banali solo per riempire un post. Quindi per questo giro ricorro all'aiuto del mio amico scrittore (in erba). Vedrò di cavarmela meglio la prossima volta.
Però, in effetti, una poesia è poco comunque. Forse quindi pubblicherò anche qualcosa d'altro questa settimana, magari un altro racconto di Carlo se riesco a convincerlo a prestarmene uno. Non vi assicuro niente. Abbiate pazienza.

domenica 18 marzo 2012

La semplificazione dei concetti (Twitter ma non solo)

Michele Serra ha ragione (senza offesa per Twitter). Forse non completamente ragione, ma ha più ragione che torto.
Ok, per chi non si fosse mai connesso a internet negli ultimi tre giorni (poi spiegatemi come fate) ecco un breve riassunto delle puntate precedenti: Michele Serra, grande scrittore satirico e ora autore su la Repubblica tre giorni fa se ne è uscito con un'Amaca (breve scritto più o meno umoristico e in non più di 1500 caratteri) con un'affermazione che ha scatenato le ire di molti fan italiani dell'uccellino azzurro: "twitter mi fa schifo", anzi #TwittermifaSchifo, sacrilegio. Il giorno dopo Serra ha pubblicato, sempre su la Repubblica, un articolo in cui spiega il senso della tanto criticata affermazione e sottolinea come la sua critica alla superficialità di Twitter sia stata tanto attaccata mentre un'analoga critica alla superficialità dei quotidiani, scritta da lui il giorno prima, abbia ricevuto sul social network grandi apprezzamenti (il che è vero, digitate "Michele Serra" su Twitter, scorrete i commenti verso il basso e lo vedrete voi stessi).
Certo, se Serra usasse Twitter forse la sua opinione sarebbe un po' più morbida, poiché Twitter se usato bene può essere uno strumento dotato di grande versatilità: la possibilità di scegliere con grande libertà chi seguire e lo scarso ingombro che il singolo tweet ha sullo schermo permette di avere una homepage ricca di contenuti interessanti, spesso anche più interessanti di ciò che si legge sui quotidiani, molto più di quanto non lo permetta, per esempio, Facebook (senza offesa per Facebook) e lo rende il social network ideale, tra quelli più famosi, per chi usa molto gli smartphone. Inoltre, il limite a 140 caratteri, tanto criticato, può costituire invece uno stimolo alla fantasia impensabile altrimenti, basti pensate alle #storiebrevi di @Einaudieditore, che invitava i follower ad inventare una storia della lunghezza di un tweet, fantastico.
Tuttavia, la questione resta, #storiebrevi o meno Twitter diventa sempre di più un luogo in cui sparare cazzate gratuite per sentirsi importanti (un po' come questo blog...) e i follower di una casa editrice sono comunque meno di quelli di uno pseudo-cantante pop per bimbemink... ragazzine (si digiti a proposito "Justin Bieber"). Per lo stesso motivo, il buon Gilioli di Piovono Rane (che comunque è bravo e consiglio di seguire) ha poco da scrivere che "su #Twitter si possono segnalare e linkare pure post lunghissimi, ragionatissimi e sfumatissimi": in pochi lo fanno e quelli che aprono i link sono ancor meno. La tendenza è un'altra.
Però, forse il commento più intelligente fatto sulla questione è quello degli Wu Ming. Anzi, per la verità si può parlare di pre-commento, nel senso che è stato scritto un mese e mezzo fa, ma si presta perfettamente alla discussione Serra-Twitter. Gli Wu Ming in realtà, a differenza di Serra, sono sempre stati piuttosto "al passo coi tempi" per ciò che riguarda i social media e sono stati utenti Twitter per molto tempo, poi però hanno deciso di "ridimensionare la nostra attività su quel social network", come si legge in questo post, nel quale gli scrittori spiegano anche che "c’è chi ha detto che un social network come Twitter è solo lo specchio della società. La metafora ci sembra inappropriata: uno specchio non accelera la tendenza all’entropia della realtà che riflette. Con la sua forsennata, ansiogena pulsione all'immediatezza degli scambi, un mezzo come Twitter, se usato assecondandone in toto la logica anziché contrastandola con l’autodisciplina e la creatività, diventa peggiorativo della realtà che trova, ne amplifica i tratti più retrivi. Se la parola fugge in avanti prima che si formi il pensiero, se quel che conta è l’iper-velocità nel rispondere, fatalmente si tira fuori il peggio".
Qui sta il punto, Twitter risulta il mezzo ideale per accelerare una tendenza già presente nella società e nel mondo dell'informazione e che esisterebbe anche senza Twitter: quella a semplificare fino all'estremo gli eventi e i concetti. Se hai tanto spazio e voglia di scrivere può darsi che finisci con lo scrivere qualcosa di più di ciò che avevi in mente all'inizio (a me capita sempre), e se poi finisci con lo scrivere boiate superficiali può darsi che, se c'è lo spazio, qualcun'altro ti corregga. Purtroppo Twitter, che comunque ha molti pregi, non ha queste caratteristiche e così può rivelarsi distruttivo per ciò che riguarda l'esprimere opinioni facili in cui la sintesi, caratteristica essenziale del social network, diventa semplicismo.
Questa tendenza a semplificare i concetti e i contenuti però è ben presente anche al di fuori dei social network. Si potrebbe citare le teorie del complotto, che si fondano su una visione semplificata della realtà a partire da quando sostengono che la storia sia mossa da ristretti gruppi di persone ai vertici del potere mondiale, ignorando le complesse dinamiche economiche e sociali che la percorrono. Tuttavia, prendersela con i complottisti è troppo facile. Come ho già scritto in proposito delle manifestazioni del 15 Ottobre e come potrei scrivere anche a proposito dei No-Tav, è proprio sui media tradizionali, giornali e tv, che si assiste ad una sempre maggiore semplificazione della realtà. Il 15 Ottobre sarebbe potuto essere una occasione per discutere del perché le manifestazioni virano sulla violenza, invece si è ridotto tutto a "er pelliccia", così come tutta la vicenda No-Tav è stata riassunta nell'insulto "pecorella": in entrambi i casi su tv e giornali il movimento di turno è stato suddiviso in "buoni" e "cattivi", additando i secondi al pubblico biasimo. Il che equivale a fare "in grande" ciò che Serra ha accusato gli utenti di Twitter di fare "in piccolo", ridurre tutto a opinioni drastiche e sommarie. Con la conseguente (o antecedente, non saprei) estremizzazione anche della controparte, che tende ad assumere posizioni della semplicità di uno slogan.
In linea generale, dunque, Twitter, quando usato male, si limita ad amplificare una tendenza, diffusa in tutta la società, che porta alla semplificazione estrema dei concetti e delle posizioni, con la conseguenza che ogni possibile dialettica viene ridotta a contrapposizione di slogan di fonti opposti, che in alcuni casi arrivano a non riuscire neppure a guardarsi più in faccia.

Ma allora, è tutto da buttare? Siamo irrimediabilmente condannati a ragionare per parole d'ordine e frasi fatte? No, non credo. Le posizioni ed i dibattiti approfonditi esistono, di molti colori diversi e forse anche più che in passato, basta saperli cercare. Dove? Beh, mi viene in mente il dibattito su MicroMega in corso in questi mesi sul superamento del Postmodernismo in filosofia, certamente non semplice e semplicistico ma tutt'altro che elitario (se ne discute sulle pagine di giornale, non in un salotto o a colpi di saggi che solo gli esperti leggeranno). Però, se volete qualcosa di più alla portata di tutti (diciamo, di molti), il luogo ideale è sempre il web. Non so se ve ne siete accorti, ma nella colonnina a destra del mio blog sono segnalati pagine e blog che vi suggerirei di frequentare di tanto in tanto, poiché di buona qualità; lì in genere potrete trovare post e commenti privi del semplicismo che spesso si trova altrove.

Però, restano comunque solo isole felici, la maggioranza è altro. Spetta anche a noi blogger, quindi, cambiare le cose, e magari anche a voi lettori. Se avete qualcosa da dire, pensate di avere opinioni intelligenti (almeno un po') e che anche altri dovrebbero condividere, fate come me, aprite un blog e scrivetele. Badate però a curare la qualità di ciò che postate, non scrivete la prima cazzata che vi viene in mente poiché di cazzate ce ne sono già troppe. In un'epoca in cui chiunque non vede l'ora di dire la sua su ogni cosa, è necessario cominciare a misurare le parole contarle. Postate ma postate di qualità e approfondito, è il modo migliore per contrastare la semplificazione dei concetti, che comporta la semplificazione dei pensieri con tutto ciò che ne consegue.
Il sonno della ragione genera mostri, ma il sonno della ragione oggi non è mancanza di istruzione, è pigrizia di pensiero.

P.s.
Per garantire una certa qualità a ciò che scrivo, io cerco di seguire le mie cinque regole di buon posting, se volete, fate pure come me.

domenica 11 marzo 2012

Breve saggio contro l'Amore (di Carlo Odisseo)

Salve, il mio nome è Carlo Odisseo e con questo articolo mi impegno a dimostrare contro ogni ragionevole dubbio che l'Amore, inteso non come affetto ma come amore tra uomo e donna (o donna-donna o uomo-uomo, ma ci siamo capiti), è per l'Uomo un nemico e causa di grande dolore ed è quindi da evitare il più possibile e fuggire appena se ne ha la possibilità. Per dimostrare questa mia tesi esporrò tre obiezioni contro l'Amore.

Per prima cosa, un'obiezione sull'oggetto: noi non conosciamo davvero chi amiamo. L'Uomo non conosce davvero la realtà ma soltanto l'immagine che ha di essa e questo vale anche per la persona amata. Anzi, vale soprattutto per chi si ama poiché è il sentimento stesso a distorcere la realtà facendoci apparire quella persona migliore di ciò che in realtà è. Noi non amiamo una persona ma solo l'idea che abbiamo di lei, ci innamoriamo di un fantasma da noi stessi creato, il quale, per sua stessa natura, potrebbe dissolversi in ogni momento lasciandoci senza nulla tra le braccia. Perciò, spendiamo impegno e fatica in nome di un nostro stesso inganno e questo è per noi, uomini e donne, un male.
La seconda obiezione che ho sull'Amore è un'obiezione di durata: l'Amore può non durare per sempre. Così, noi ci innamoriamo di una persona, la sposiamo e abbiamo figli con lei, poi però l'Amore finisce ed ecco che ci ritroviamo a dover vivere una vita che non vogliamo più, fino alla morte. Questa però, in effetti, potrebbe essere semplicemente un'obiezione all'impegno e al matrimonio, non all'Amore in quanto tale: sarebbe sufficiente conservare la libertà di concludere una relazione quando l'Amore cessa di animarla. In realtà però le cose sono ben peggiori: peggio dell'amore che finisce c'è l'Amore che potrebbe non finire mai. È un bene questo, dite, che non finisca? Allora forse non sapete cosa voglia dire essere innamorati di qualcuno che non vi ricambia. Se tra due amanti uno smette di amare, l'augurio peggiore che si possa fare all'altro è di amare per sempre. Così, l'Amore ci porta a incatenarci in una prigione a vita oppure ci condanna ad un'agonia che può essere eterna. Entrambi due rischi notevoli e sempre presenti.
Infine, ecco la terza obiezione all'Amore, o obiezione aurea, che le racchiude tutte: l'Amore è un male perché ci spinge a porre tutta la nostra felicità nelle mani di qualcun altro. Ci spinge a far dipendere la nostra felicità dalla volontà di una persona diversa da noi stessi, che potrebbe fare della nostra vita ciò che vuole, ma anche potrebbe ferirci senza volerlo e condannarci all'infelicità per semplice imprudenza. A causa dell'Amore non siamo più padroni della nostra felicità, che è una condizione anche peggiore del non esserlo della propria vita. L'Amore ci rende schiavi.
Ecco perché l'Amore ci è nemico e perché sarebbe bene non amare, mai.
Questo però non è possibile. Penso che l'Uomo abbia due necessità imprescindibili, impresse indelebili in sé stesso, quella di amare e di essere amato. Dell'Amore l'Uomo non può fare a meno.

Ma allora che fare? Come salvarsi da sicuro dolore? Una soluzione potrebbe essere il dedicarsi agli affetti, cioè sfogare quella necessità di Amore tramite un'amore più dolce e più lontano dall'Assoluto, ovvero l'amore per gli amici, per la famiglia, per i propri cari. Certo, anche questo amore può ferirci così come può fare l'Amore che prima ho scongiurato, ma le sue ferite saranno più lievi, non perché sia un amore più debole ma perché è più diffuso, meglio distribuito tra varie persone. Se un amico ci tradisce, ne abbiamo un'altro che può consolarci e a cui noi possiamo volere bene. Però, non sempre questo amore è sufficiente, l'Amore bruciante nella sua assolutezza reclama sempre la nostra attenzione e vuole essere soddisfatto.
Un'altra risposta alle necessità di amare e di essere amati può essere il soddisfarle entrambe ad un tempo, amando sé stessi. La soluzione è innamorarsi di sé stessi, cercare in ogni modo di esaltare la propria persona e desiderare il proprio bene, il proprio "meglio", così come si desidera il bene di una persona amata. Amare sé stessi e solo sé stessi, in modo assoluto ed esclusivo, questo è l'unico Amore che può invalidare le mie tre obiezioni, poiché noi conosciamo noi stessi meglio di chiunque altro e siamo da noi stessi ricambiati. Tuttavia, questo è un Amore difficilissimo da alimentare, poiché necessità la soddisfazione continua del proprio narcisismo e rende quindi insopportabile ogni fallimento. Amando sé stessi non si ha nessun altro su cui contare per rialzarsi dopo ogni caduta. L'amore di sé stessi è un Amore disperato, che consuma l'Uomo come la fiamma una candela.

Questi sono i soli rimedi che mi sento di proporre alla maledizione dell'Amore, non ne conosco altri. Il mio augurio è di non averne mai bisogno, ma in caso contrario, lettore, scegli a quale dei due affidarti, sapendo che ciascuno ha i suoi pregi e i suoi difetti, oppure sii bilanciato tra i due, adottando ora l'uno ora l'altro.
Tuttavia, tutto questo è impossibile. Tutto il discorso che ho fatto finora in verità è inutile e il motivo è semplice: non solo non possiamo decidere di non amare, noi non possiamo neppure decidere chi amare. Sull'Amore non abbiamo alcun potere e opponendoci a lui non possiamo che venire sconfitti, inevitabilmente.
Perciò, è inutile cercare rimedio, un rimedio non c'è. All'Amore non c'è cura. Possiamo solo sperare, mentre il caso, o il destino, fa il suo gioco.

sabato 3 marzo 2012

Che nascano gli Stati Uniti d'Europa!

A questo post devo anteporre una premessa: ero indeciso se scriverlo o no. Questo non perché io non pensi davvero ciò che scrivo, è chiaro, ma per la complessità del tema. Oggi infatti parlerò di crisi economica, Unione Europea, cultura europea, Europa, toccando argomenti che potrebbero esulare dalle mie competenze e correndo quindi il rischio di violare la terza delle mie regole di buon posting: non parlare di ciò che non conosci. Quindi, prima di tutto, chiarisco una cosa: ciò che scrivo è soltanto la mia personale opinione, il mio punto di vista. Non ho intenzione di rivelare verità insindacabili, solo spiegare come io vedo le cose riguardo argomenti di cui non sono esperto. Io sono solo un pirla qualsiasi con un blog e mi limito a dirvi ciò che penso, poiché almeno per ciò che riguarda il mio pensiero ho le competenze necessarie.

Ma veniamo ai fatti. Un paio di giorni fa ho letto su la Repubblica (poi ritrovato sul sito di MicroMega) questo interessante articolo di Paul Krugman, Nobel per l'economia nel 2008. Consiglierei di leggerlo anche a voi, ma nel caso non ne abbiate voglia (male, molto male) vi dico che in sintesi Krugman sostiene, con ottimi argomenti, che "la vera malattia che piega l'Europa" (questo il titolo) non è il suo welfare avanzato, come sostengono i Repubblicani Usa, e neppure i deficit di bilancio degli anni passati di alcuni dei suoi Stati, come ritiene il governo tedesco, bensì l'aver introdotto "una valuta unica senza aver preventivamente creato le istituzioni necessarie a farla funzionare a dovere". In sintesi, gli attuali problemi economici dell'Europa derivano dall'aver introdotto troppo presto l'Euro.
Qui Krugman si ferma: l'articolo in questione è stato scritto per un pubblico americano e solo in seguito tradotto: le intenzioni dell'autore non sono quindi quelle di dire cosa dovrebbe fare l'Europa, ma solo spiegare perché gli Stati Uniti non corrono i suoi stessi rischi. Per questo, nel mio piccolo e pur non aspirando a confrontarmi con un tale economista, provo a dire qualcosa in più di quanto non abbia già fatto lui.
Krugman sostiene indirettamente che l'introduzione dell'Euro è stata prematura. Che si condivida o no questa opinione, fatto sta che ora l'Euro c'è e, soprattutto, la sua introduzione è stata un passo fondamentale per l'unificazione economica e commerciale dell'Europa. Quindi è l'Unione Europea stessa ad essere messa in discussione, poiché per un suo rafforzamento l'unificazione delle valute era imprescindibile. In effetti, a pensarci bene, la situazione attuale dell'Unione Europea è singolare: a fronte di un'unificazione economica molto avanzata il processo di unificazione politica è ancora arretrato, i singoli Stati hanno accettato di abbattere le dogane e creare una moneta unica ma rifiutano di cedere parte della propria sovranità politica ad un entità superiore che nascerebbe dalla sintesi delle parti. Il che in effetti era prevedibile, in tempi liberisti abbattere le dogane è cosa che piace un po' a tutti, cedere sovranità invece vuol dire che i governi nazionali accettano volontariamente di ridurre il proprio potere: capirete che non è una cosa che un governante fa volentieri. Questa disparità tra unione economica e politica oggi però fa sentire tutto il suo peso: le decisioni economiche comunitarie vengono prese dai capi di Stato dei singoli Paesi, i quali però sono eletti dai propri cittadini a livello nazionale e non europeo e quindi, inevitabilmente, perseguono unicamente (o almeno principalmente) gli interessi del proprio Paese di appartenenza, soprattutto in situazioni di crisi economica in cui prendere in considerazione anche i bisogni dei propri partner europei viene da molti elettori visto come un lusso, una carità che non è il caso fare quando le cose vanno male. Non è un caso per esempio che la riluttanza della Merkel ad aiutare la Grecia incontri il favore di molti Tedeschi.
Così, a comandare sono di fatto gli Stati più forti, cioè più ricchi, come la Germania (inevitabilmente, a prendere decisioni è chi poi deve mettere i soldi), mentre i bisogni dei Paesi più deboli, come la Grecia, passano in secondo piano. La situazione che viene a crearsi comporta spesso ostilità verso l'Unione Europea stessa, da parte dei cittadini, e inimicizia tra i suoi membri. È una condizione instabile e non può e non deve durare.
Due sole quindi sono le strade possibili: sciogliere l'Unione Europea o portarla a compimento.
Entrambe le strade comporterebbero molti problemi e difficoltà e il percorso sarebbe in entrambi i casi lungo e tortuoso, ma le alternative possibili sono queste e non altre. Io credo si debba optare per la seconda: l'Unione Europea va completata con la creazione di una Confederazione Europea dotata di un Parlamento ed un Governo che abbiano poteri superiori a quelli dei governi nazionali, in ambito di politica estera ed economica, e siano eletti a suffragio universale a livello europeo, senza dipendere dai singoli Stati. Una Confederazione, una nuova Unione, che prenda per modello gli Stati Uniti, se non quelli di oggi almeno quelli post-indipendenza, con ampissime autonomie locali ma con una politica comune per quelli che sono i temi principali di cui uno Stato (uno Stato unico) deve occuparsi.
Ma perché mai proseguire lungo la strada dell'Unione Europea sarebbe preferibile? Perché non scioglierla e ognuno pensi a sé stesso?
Innanzitutto, l'Unione ha l'indiscutibile merito di aver contribuito a garantire un lungo periodi assenza di guerre nell'Europa occidentale, la cui durata è stata difficilmente eguagliata in passato. Inoltre, perché uniti si è più forti su scena internazionale (o intercontinentale): difronte ai risorti Giganti d'Asia e alla loro forza economica e demografica presto ogni singolo Stato europeo non conterà più nulla, Germania inclusa, mentre l'Unione potrà guadagnarsi lo status di "potenza" dal punto di vista sia economico che politico e discutere con la Cina da pari. Divisi siamo deboli, uniti siamo forti.
Però, c'è un'altra motivazione, che ritengo più importante e che sicuramente mi sta più a cuore. L'Europa deve restare unita perché una Nazione Europea sta già nascendo. Magari è solamente una mia impressione, ma penso che già da qualche secolo le singole culture nazionali abbiano intrapreso un processo di mutua contaminazione che porta a renderle sempre meno distinguibili l'una dall'altra. In ambito artistico all'inizio del Novecento l'Europa ha assistito alla nascita delle grandi avanguardie, sorte indistintamente in Francia (soprattutto), Italia, Spagna, Germania e Russia. Già il fenomeno dell'Art Nouveau, che ha interessato tutto il continente, aveva anticipato questa tendenza, di cui difficilmente abbiamo esempi precedenti. In ambito letterario, poi, le mutue influenze sono già considerevoli con il Romanticismo, che infatti pur delineandosi in modo peculiare in ogni singolo Paese è un fenomeno che interessa tutto il continente, e diventano fondamentali nel Novecento, quando abbiamo un Joyce che insegna Inglese a uno Svevo, in quel di Trieste. In ambito filosofico invece già nel Settecento abbiamo l'Illuminismo che dalla Francia dilaga in tutta l'Europa occidentale (meno l'Inghilterra, ok, ma non ignoriamo l'influenza avuta dall'Inglese Hume sull'illuminista Kant, per non parlare del peso in Europa del pensiero liberale di Locke), segue poi la grande filosofia tedesca che getta le basi di buona parte della futura filosofia europea, per non dire occidentale.
Ma perché vi dico tutto questo? Perché, se ci pensate, la Nazione Italia ha le sue radici proprio nella nascita di una cultura italiana, nascita che inizia nel Quattrocento per poi completarsi nel secolo successivo, a cui poi con molti travagli è seguita l'unificazione politica. Credo che in ambito europeo possa accadere lo stesso. Certo ci saranno notevoli difficoltà: così come è accaduto in Italia, una cultura unica "alta" nasce sempre molto prima di quanto non faccia una cultura popolare comune e per esempio, così come in Italia, le diversità linguistiche costituiscono e costituiranno un problema notevole. Tuttavia, credo che l'Unione Europea sia una strada da proseguire, poiché Europei lo siamo già, che ci piaccia o no.
Che nascano quindi, con i dovuti tempi, gli Stati Uniti d'Europa.

Ok, concludo qui il mio post. Ho attinto il più possibile alla mia scarsa cultura e mi sono sforzato di dire cose intelligenti, nel caso non ci sia riuscito vi chiedo scusa, ho fatto del mio meglio.
Voglio solo precisare una cosa. Nel mio articolo ho usato più volte la parola "nazione", spero sia chiaro che va intesa secondo il significato che aveva nell'Ottocento (opportunamente aggiornato), non secondo quello tragico del secolo successivo.

E ora, vi saluto, amici europei, e mi metto a studiare un po' l'Inglese. Avere un blog "internazionale" non mi dispiacerebbe affatto.




Nota aggiunta il 5/3/2012
Sul blog di Beppe Grillo è comparso oggi un intervento fortemente antieuropeista, guarda caso esattamente il giorno dopo la pubblicazione del mio articolo, qui sopra. Certamente è soltanto una coincidenza, non sia mai che Beppe Grillo in persona voglia boicottare la riVoluzione che stiamo portando avanti, anzi, non-avanti. Certamente non è un tentativo di delegittimarci, il suo, pubblicando un articolo ESATTAMENTE opposto al mio ESATTAMENTE il giorno dopo. Ma quando mai.
No, tranquilli, non sono impazzito, sto solo scherzando: mi si è offerta quest'occasione di scimmiottare Grillo e le sue paranoie e non ho saputo resistere. Sono le piccole debolezze di un piccolo blogger.
Io però se scrivo frase come questa lo faccio per scherzare, lui no. Però, infondo, risulta quasi divertente.